giovedì 24 maggio 2012

Non più di un attimo

C’era una volta un piccolo moscerino, più piccolo di un moscerino propriamente detto, talmente piccolo che di solito passava inosservato. Era certo più piccolo di una zanzara, ma anche più piccolo di quei moscerini che infestano qualsiasi cosa di colore chiaro - una maglia, una borsa, un cappello - con preferenza per il giallo e i suoi affini.
Niente di tutto questo: lui era un insettino grazioso, leggero, con un corpicino affusolato diviso in due parti, la testa un po’ allungata e il resto del corpo che sembrava proprio un fuso, visto che finiva a punta; aveva delle zampette più fini di un filo di ragnatela e piuttosto lunghe in proporzione al resto; e poi aveva due alette trasparenti, sottili, piene pienissime di arzigogolati disegni che rifrangevano la luce nei mille colori dell’arcobaleno.
Come lo vogliamo chiamare? Insettino? Troppo banale. Moscerino? Come l’altro. Ci sono! Zampettino! Eh? D’accordo? Perfetto.
Zampettino era solito svolazzare in un posto all’aperto... come si dice? un posto pieno di erba, fiori e piante?! Come? Ah, giusto: un parco. Un parco piccolo, comunque, un...(ih ih!) parchettino: non è che il nostro piccolo moscerino amasse molto gli spazi troppo aperti.
Parrà strano, ma Zampettino ero uno di quei rari insetti alati che in volo amava dilettarsi nel canto, lasciandosi ispirare a volte dal ronzio più o meno lieve delle proprie ali, a volte dai suoni che sentiva qua e là mentre se ne vagava tranquillo a mezz’aria.
Zampettino era un esserino molto socievole, carino, spensierato; lui non poteva fare a meno di salutare tutti quelli che incontrava; a volte, sfruttando tutto quello che aveva a disposizione di zampette, alette e testa, riusciva a salutare contemporaneamente anche una decina di insetti più o meno amichevoli che incrociava, sorvolava o che gli passavano sotto - il traffico in certi momenti è veramente intenso!
C’era però un piccolo inconveniente di cui Zampettino spesso si dimenticava: era talmente leggero che bastava un piccolo soffio di brezza da trovarsi improvvisamente in un’altra parte del suo amato parco, totalmente incapace di coordinare i suoi movimenti, fino a trovarsi... sbattuto nei posti meno immaginabili.
Proprio stamattina me lo sono ritrovato appoggiato su una pagina del libro che stavo leggendo. Si è fermato non più di un attimo, ma per lui, così piccolo, chissà quanto è durato; poi, dopo essersi riassestato sulle sue finissime zampette e aver scrollato la testolina per riprendersi da quel volo incontrollato, aprì le sue alette cristalline e riprese il suo volo spensierato e sereno, canticchiando allegramente il suo brano preferito.

martedì 15 maggio 2012

Non è mai detta l'ultima parola


Miniou e Danielle erano due simpatici e gentili vecchini che vivevano da ormai molto tempo in una casetta di pietre e legno posta sulla scogliera, proprio di fronte all’oceano. Passavano le loro giornate dedicandosi alle numerose coltivazioni che avevano avviato nel loro campo dietro casa. C’erano pomodori, porri, lattuga, fagioli, patate, e poi fragole, pesche, susine... C’era proprio una bella rappresentanza del mondo vegetale.
Potrebbe sembrare che i due signori fossero dei commercianti di frutta e verdura, ma tutto il loro lavoro era dedicato ad avere il necessario per poter mangiare in modo adeguato.
Non mangiavano solo frutta e verdura, intendiamoci. Potevano cibarsi del pesce fornito dal grande mare e della carne che veniva dagli animali che allevavano loro stessi.
Era una vita serena, semplice, scandita dal ritmo delle stagioni.
E lo fu finché un giorno arrivò un ospite inatteso, tanto più inatteso perché da molti anni nessuno passava da quelle parti.
Era un signore distinto, dai tratti gentili, avvolto in un grande mantello e con un cappello a larghe falde. Era giunto da chissà dove su un bellissimo cavallo chiazzato.
Appena arrivò fece ai due vecchini un saluto molto cordiale e chiese loro se avesse potuto fermarsi per la notte. Naturalmente Miniou e Danielle non si tirarono indietro; provenivano da famiglie allargate per le quali era normale ospitare qualche viaggiatore e condividere le proprie risorse. In vista di quella eventualità avevano ricavato nel fienile una stanzetta arredata con un letto a castello, un armadio e una cassettiera e finalmente sarebbe servita a qualcuno.
Appena ebbe sistemato il suo bagaglio nella stanza, il viaggiatore tornò dai due anziani per accogliere l’invito a cenare con loro.
Non si aspetti una grande cena, eh!” disse Danielle al suo ospite.
Oh, non si preoccupi, signora” rispose lui “sarà una cena molto gradita dopo giorni e giorni di carne salata e qualche frutto trovato qua e là”
Da dove venite?” chiese Miniou, curioso di conoscere quel distinto signore.
Da molto, molto lontano” disse l’ospite “viaggiare è parte integrante della mia vita, non potrei fare altrimenti”
Ed è lecito conoscere il vostro nome?” chiese Danielle gentilmente.
Oh certo! Mi chiamo... Angelo Desmortes.”
I due vecchietti rimasero sgomenti.
La vostra fama vi precede, signor Desmortes” disse Miniou quasi sussurrando.
Si dice che dove passa Angelo Desmortes” aggiunse Danielle “la vita non resti per molto tempo ancora”
Purtroppo è la mia maledizione” disse sconsolato Angelo.
Vedendolo molto rattristato, Danielle gli si avvicinò e gli chiese: “E da dove viene questa maledizione?”
Mio padre” disse senza esitare Angelo. Dopo qualche istante di silenzio riprese:
Quando sono nato non volle risultassi discendente della sua famiglia e, accanto al nome scelto da mia madre, mi impose questo... marchio”
E per quale motivo?” chiese Danielle.
Disse che dovevo essere riconoscibile al mondo intero come una malattia che non dà scampo, perché nella notte in cui nacqui mia madre morì e lui mi ritenne responsabile dell’accaduto. E da allora la mia fama, come la chiamate voi, non ha fatto altro che perseguitarmi”
Miniou e Danielle non sapevano che dire.
Se pensate sia meglio per voi” disse d’un tratto Angelo “che io tolga il disturbo, prenderò le mie cose e non sentirete più parlare di me”
Miniou e Danielle si guardarono negli occhi, sapevano capirsi benissimo senza dire una parola.
Non c’è ragione perché dobbiate andarvene signor Desmortes” disse Danielle “saremo lieti di ospitarla per questa notte”
Dopo un altro breve scambio di occhiate Miniou aggiunse: “Se le fa piacere può fermarsi quanto vuole, basta che ci dia una mano col lavoro”
Angelo Desmortes non si aspettava certo un’accoglienza del genere, abituato com’era a fuggire da ogni villaggio o città in cui si era fermato. Finalmente qualcuno aveva superato il timore di averlo vicino anche solo per pochi minuti e forse il suo continuo vagare aveva trovato una meta.
Passarono alcuni giorni, ormai i tre erano diventati una famiglia; Angelo si dava da fare quanto più poteva per aiutare Miniou e Danielle, era uno che imparava in fretta e non si tirava indietro di fronte alla fatica.
Si diceva di essere stato fortunato a incontrare delle persone tanto buone.
Una mattina si alzò come al solito molto presto e uscendo dal fienile pensò di trovare Miniou già al lavoro, cosa che succedeva praticamente ogni giorno; invece non c’era. Così si diresse verso la casa per fare colazione, ma non sentì lo spensierato canto di Danielle che sentiva ogni mattina; e c’era di più: le persiane erano ancora chiuse. Forse mi sono alzato troppo presto, pensò Angelo.
Entrato in casa non trovò nessuno. Chiamò i due vecchini, ma non risposero. Allora decise di salire nella loro camera, chiamò di nuovo; aprendo la porta vide che erano ancora a letto.
Ehi dormiglioni!” disse allegro aprendo la finestra e le persiane.
Ma i due vecchini non si mossero. Angelo si avvicinò al letto e appena scostò le coperte dai loro volti si rese conto che non si sarebbero più svegliati.
Li seppellì in un punto del campo che era stato preparato proprio il giorno prima per una nuova semina e vi costruì intorno una piccola staccionata.
Poi si diresse alla stanza nel fienile, deciso a raccogliere tutte le sue cose e partire il più presto possibile: il sogno che sembrava essersi trasformato in realtà era di nuovo un semplice sogno, e la sua fama maledetta persisteva.
Stava per salire sul suo bel cavallo chiazzato, quando gli venne alla mente ciò che Miniou gli disse dopo che si sentì ringraziare per l’ennesima volta per la sua ospitalità: “Vedi Angelo, non è mai detta l’ultima parola: io e Danielle pensavamo di passare da soli il tempo che ci restava da vivere, mai avremmo pensato che alla nostra veneranda età avremmo ritrovato il piacere di occuparci di qualcuno; per cui tu, caro Angelo, puoi considerarti a casa tua”
D’accordo” disse Angelo un po’ imbarazzato.
E adesso smettila di dire grazie a me e a Danielle per ogni nonnulla” disse Miniou “ti prego, non ne possiamo più di quella parola!”
E insieme scoppiarono a ridere.
Sì, quella era casa sua ormai e andarsene avrebbe significato vanificare e addirittura disonorare l’accoglienza di Miniou e di Danielle.
Così Angelo Desmortes decise di vivere il resto dei suoi giorni su quel pezzo di terra, dove due simpatici e gentili vecchietti gli permisero di nascere una seconda volta e di ritrovare nella semplice vita di tutti i giorni il senso della propria esistenza.

martedì 8 maggio 2012

La voce di Lorena

Ascoltare la voce di Lorena non era come ascoltare una voce qualunque, perché ogni volta era come sentirla parlare al telefono, tanto più se la si ascoltava ad occhi chiusi. Era stupefacente come, ascoltandola, fosse possibile dimenticarsi completamente del suo aspetto, non perché Lorena fosse una donna brutta, anzi, era bellissima; ma di fatto era ciò che succedeva: chi ascoltava Lorena parlare, bastavano anche pochi secondi, perdeva ogni riferimento fisico e tutto ciò che di lei “vedeva” era il suono della sua voce. Sarà stato forse perché Lorena considerava la comunicazione l’elemento principe per tenere vivo ciò a cui lei credeva di più: il legame tra le persone. D’altro canto, però, Lorena usava molto il telefono per comunicare, diceva che le permetteva di sentire le persone a cui voleva bene il più spesso possibile, anche solo per dirsi ciao e poi riattaccare, si sa, il telefono è utile, ma costa.
Forse era questo il punto: il telefono era per Lorena il mezzo di comunicazione privilegiato, perchè, diceva, accorcia le distanze tra le persone senza doversi muovere - già ci si muove troppo ogni giorno... - e in qualche modo la sua voce aveva assunto quel particolare suono che si sente quando si ascolta una persona al telefono.
Ascoltare la voce di Lorena era diventato perciò il modo migliore per conoscerla, per capire cosa stesse vivendo e con quale stato d’animo; anche per questo alle persone veniva spontaneo chiudere gli occhi mentre la ascoltavano, per non farsi... distrarre dal suo aspetto.
Un momento! E se tutto fosse nato da un insolito convincimento di Lorena? Lei era bellissima, poteva pensare che i suoi uditori la ascoltassero solo per il suo aspetto... e in qualche modo era riuscita a rendere la sua voce l’elemento più interessante della sua vita, lasciando che fosse quella a dare l’immagine giusta di se stessa, compresa quella fisica. Chissà... Quel che è certo è che solo Lorena sapeva la verità al riguardo.
A volte sentirle raccontare le sue avventure era proprio uno spasso, riusciva spesso a trovare il lato comico delle situazioni e questo, oltre a mettere buon umore, rinnovava il desiderio di ascoltarla ancora. Anche la sua risata era davvero molto coinvolgente, libera, vera, vissuta; niente a che vedere con quelle risatine trattenute di coloro che ritengono ancora che il riso sia una pietanza da servire in caso di evacuazione intestinale repentina... ma per quello è meglio il limone.
Ah, quante storie Lorena!
Nel tempo la voce di Lorena era cambiata, da un certo momento in poi si capiva che aveva fatto un salto di qualità, in meglio naturalmente; era diventata più calma, più paziente, lo si sentiva anche quando raccontava dei momenti di minore serenità. I cambiamenti erano evidenti a chi ascoltava e non poteva che essere felice per lei, si capiva che aveva trovato una migliore prospettiva nell’affrontare la sua vita.
Ascoltare la voce di Lorena significava poterla conoscere bene, non solo superficialmente; ma per alcune persone era diventato l’unico modo di conoscerla, perché, non vedendola da molto tempo, era tutto ciò che ricordavano di lei. Qualcuno, addirittura, si era talmente abituato al connubio Lorena-voce che era arrivato al punto di domandarsi se incontrandola per strada l’avrebbe mai riconosciuta.

sabato 5 maggio 2012

La corriera

“E’ già arrivata la corriera?” chiese impaziente il direttore.
“Quale corriera?” domandò la segretaria.
“Come quale corriera?” chiese il direttore giungendo le dita delle mani “Non stiamo aspettando un pacco da...? Va be’! Cosa le hanno detto quelli della compagnia?”
“Io non ho sentito la compagnia” disse la segretaria.
“Ah già, ho risposto io quando hanno chiamato, lei non c’era”
Il direttore andò nel suo ufficio e tornò con un bigliettino:
“Ecco qua: hanno spedito il pacco con la corriera, il cui arrivo è previsto per le 9 e 15. Invece sono le 9 e mezza” sbottò guardando l’orologio “ma la corriera non è ancora arrivata!”
“Ci sarà stato qualche contrattempo” azzardò la segretaria.
“Gli imprevisti sono da prevedere!” sentenziò il direttore “Negli affari non c’è posto per gli affanni!”
Dopo qualche minuto entrò nell’ufficio l’attendente.
“...o pacco?” Aveva iniziato la domanda ancor prima di aprire del tutto la porta.
La povera segretaria non poté far altro che chiedere: “Prego?”
“Voglio parlare col direttore!” disse l’avventore alquanto nervoso.
“A proposito di cosa, mi scusi?” chiese la segretaria.
“Del mio pacco, che diamine!” disse l’attendente battendo una mano sul bancone.
“Un attimo...”
La segretaria non riuscì nemmeno a sollevare il ricevitore del telefono che l’attendente stava già aprendo la porta dell’ufficio del direttore.
“Allora? Il mio pacco?” disse che ancora non era entrato.
“Il suo pacco... - signor attendente! - dovrebbe arrivare con la corriera” rispose il direttore con tono dimesso.
“E quindi?” domandò l’attendente appoggiando i pugni sul tavolo.
“Purtroppo...” il direttore deglutì “la corriera non è ancora arrivata...”
“Sono le 9 e 34 minuti e la corriera non è ancora arrivata?!” urlò l’attendente sbracciandosi. E sbattendo la porta uscì, con grande sollievo del direttore.
Non passarono neanche cinque minuti che entrò nell’ufficio la moglie dell’attendente.
“Signorina, buongiorno” disse gentilmente alla segretaria.
“Buongiorno, signora” salutò l’impiegata “Che posso fare per lei?”
“Ho appena visto uscire mio marito dal vostro ufficio e mi chiedevo se lei, cortesemente, potesse dirmi il motivo per cui si trovava qui”
In quell’istante il direttore uscì dal suo ufficio.
“Mi chiami la compagn... Oh, signora” disse accorgendosi della moglie dell’attendente “a che debbo l’onore della sua presenza qui?”.
“La signora stava chiedendo cosa...” tentò di dire la segretaria.
“Si accomodi nel mio ufficio, prego!” disse il direttore, lanciando uno sguardo di rimprovero alla sua dipendente.
“Volevo solo conoscere il motivo” disse la signora appena si sedette “della visita di mio marito”
“Suo marito?” fece il direttore, con aria innocente.
“Sì, l’ho visto uscire di qua qualche minuto fa”
“Ah, suo marito! Certo! E’ passato per ritirare...” il direttore si interruppe di botto.
“Cosa?” chiese la moglie dell’attendente con tono diffidente.
“Per ritirare...” il direttore cominciò a sudare: l’attendente gli aveva chiaramente proibito di dire alla moglie del pacco.
“Per ritirare cosa?” chiese minacciosa la signora.
“Per ritirare...” riprese il direttore dopo un attimo di grande impaccio “un pacchetto per lei!”
“Per me?” domandò la moglie dell’attendente sbattendo le ciglia.
“La prego, signora, non dica a suo marito che gli ho... rovinato la sorpresa!” implorò il direttore.
“Oh, non si preoccupi” disse la signora con voce velata “una moglie sa sempre tenere un segreto!”
E senza aggiungere altro se ne andò.
Il direttore si lasciò cadere sulla poltrona, era stremato.
Subito suonò il telefono: “Sì?”
“C’è qui l’attendente, signor direttore” disse la segretaria all’altro capo.
“Lo faccia entrare” disse il direttore sospirando.
“Allora? Questa corriera, arriva o non arriva?” domandò l’attendente con tono alterato.
Il direttore si alzò di slancio, andò dalla sua segretaria e le chiese sussurrando: “Cosa ha risposto la compagnia?”
“Non ho chiamato la compagnia!” rispose la segretaria.
“Lo faccia immediatamente!” sibilò il direttore.
“E’ strano” disse tornando nel suo ufficio “di solito è in orario”
“Non è sufficiente, non crede?” disse l’attendente impaziente.
Suonò il telefono.
“Sì?” il direttore ascoltò in silenzio e poi disse “La faccia attendere. Signor attendente, ora ho un impegno, appena so qualcosa la chiamo”
Appena la porta fu aperta, i due uomini rimasero imbambolati di fronte allo spettacolo sfolgorante che si parò davanti ai loro occhi: in piedi, appoggiata al bancone, c’era una donna bellissima, alta, capelli lunghi e vaporosi, vestita con jeans e maglietta molto attillati.
“Ha insistito per parlare con lei, direttore” disse la segretaria con tono risentito.
In quel momento entrò anche la moglie dell’attendente, che al vederla sbiancò.
Senza aspettare di essere interpellata, l’avvenente signorina si diresse verso il direttore porgendogli un pacco.
“Mi deve scusare, signore” disse estraendo una penna dalla tasca dei pantaloni “ma stamattina il traffico era pazzesco!”
“No, è lei che mi deve scusare, signorina” disse il direttore firmando una ricevuta “ma... lei chi è?”
“Come? Non l’hanno avvisata?” chiese la donna volgendo lo sguardo anche sugli altri presenti.
“Avvisato di cosa, signorina?” ribattè il direttore il più gentilmente che poté.
“Che il vostro pacco sarebbe arrivato stamattina” disse la donna.
“Sì! Ma lei chi è?” chiese di nuovo il direttore.
“Quella che doveva portarvi il pacco: Dalila Corriera”

martedì 1 maggio 2012

La storia di Oggigiorno

Giornoprima e Giornodopo non si conoscevano, sarebbe stato ben difficile visto che abitavano in due grandi città che erano da considerarsi agli antipodi: infatti Giornoprima viveva a Miricordo, mentre Giornodopo era nato e cresciuto a Prevedo.
Come?
Che c’è da raccontare su due persone che non si conoscevano e nemmeno, a quanto pare, avrebbero potuto mai incontrarsi?
Un passo alla volta!
Il fatto è che Giornoprima e Giornodopo avevano un amico in comune, un amico vero, molto vicino ad entrambi, quasi quasi il migliore amico di ciascuno.
Il nome dell’amico?
Oh, che impazienza!
L’amico si chiamava Oggigiorno.
Parenti?
Macché parenti, insomma!
Oggigiorno conosceva sia l’uno che l’altro perché frequentò assiduamente le rispettive città e faceva spola tra Miricordo e Prevedo per occuparsi da vicino di tutte le sue attività e coltivare i suoi interessi.
E che interessi!
Fu così che... un giorno, o forse in più giorni, conobbe Giornoprima e Giornodopo. Oggigiorno non ricordava chi fosse stato il primo..., ormai erano passati troppi anni; e poi non è fondamentale conservare certe informazioni... a meno che capiti di dover rivendicare un’opzione di eredità che dipende dalla conoscenza della data esatta di acquisizione del grado di parentela minimo richiesto per poter avanzare diritti e pretese di riscossione.
Ah, vedi allora che sono parenti?!
...Può darsi, ma ai fini della storia che si va raccontando, la cosa non suscita il benché minimo interesse.
Si può dire che Oggigiorno conobbe Giornoprima e Giornodopo in circostanze molto simili, perché entrambe lavoravano per le rispettive società di cantastorie delle proprie città. All’atto di iscriversi alle due società (erano situate in stati diversi, e si sa, ogni nazione ha i suoi usi e i suoi costumi) Oggigiorno venne accolto e ricevuto proprio dai due futuri amici. Entrambi restarono colpiti dal titolo dell’opera che il cantastorie aveva allegato alla domanda d’iscrizione: “L’arco del Sole e della Luna”.
“Non so perché ma penso che sia un racconto interessante” disse Giornoprima.
“Deve essere una storia affascinante” disse invece Giornodopo.
Oggigiorno rispose ad entrambi porgendo loro una copia del suo scritto e poi sorridendo disse:
“Lo legga, così mi dice cosa ne pensa!”
Sia Giornoprima che Giornodopo restarono talmente meravigliati della proposta del cortese autore che non riuscirono a dire altro, se non ricambiare il sorriso.
Quando tornò alle società di cantastorie per la firma dei documenti di convalida della sua iscrizione, Giornoprima e Giornodopo restituirono a Oggigiorno le copie della sua opera. Leggendo sui loro volti la medesima espressione imbarazzata e titubante, rivolse ad entrambi la stessa domanda:
“Non le è piaciuto?”
“Be’, non precisamente” risposero tutti e due “è un po’... strano.”
“In fondo è la vita a essere strana, non crede?” disse Oggigiorno consegnando il modulo che aveva appena compilato.
C’era riuscito di nuovo, senza volerlo naturalmente: per la seconda volta Giornoprima e Giornodopo si meravigliarono del loro avventore e di nuovo rimasero senza parole. Mentre si allontanava lo guardarono incuriositi, notando in lui una calma del tutto particolare, a cui non avevano fatto caso la prima volta che lo incontrarono.
Da quel momento in poi, ogni volta che Oggigiorno si presentava alla società dei cantastorie di Miricordo e a quella di Prevedo, e si presentava spesso dato che era un autore molto produttivo oltre che molto creativo, Giornoprima e Giornodopo approfittavano per scambiare con lui qualche parola, per cercare di capire quale fosse la filosofia di quello strano cantastorie...
Col passar del tempo le poche parole divennero lunghe e intense chiacchierate e i semplici rapporti di sportello si trasformarono in grandi amicizie. Furono queste trasformazioni a meravigliare Oggigiorno, perché nessuno fino a quel momento gli aveva chiesto di lui, dei suoi pensieri e delle sue creazioni.
“Mi offri una prospettiva davvero nuova” era solito dire Giornoprima al nuovo grande amico “E’ come se io potessi non pensare più a ciò che sono stato”.
Giornodopo invece diceva così a Oggigiorno:
“Mi offri una prospettiva davvero nuova, amico mio, è come se potessi non pensare più a ciò che vorrei essere”
Le due amicizie durarono per lungo tempo. Ma venne il momento in cui Oggigiorno si rese conto di dover lasciare i suoi amici; non si dimenticò mai di loro, così diversi l’uno dall’altro, eppure così simili... Doveva seguire il suo destino, lui era un cantastorie e quindi era necessario che vivesse nuove esperienze, facesse nuovi incontri, visitasse nuove città, magari le meno conosciute, le meno immaginate, perché potesse raccontare davvero la storia di oggigiorno, la storia che si svolge, ogni giorno, sotto l’arco del sole e della luna.