martedì 3 aprile 2012

Daniel Lo Cuba

C’era una volta un certo Daniel Lo Cuba, il quale, contrariamente a quanto si potrebbe pensare d’impulso, non viveva nell’isola rossa, né c’era mai stato. Lui era un cittadino rispettabile di una cittadina rispettabile, ad una rispettabile distanza dalle città più grandi e più famose. Tanto più rispettabile, diceva Daniel, proprio perché lontana da quelle città.
Sento che vorresti sapere quale sia il nome di quella cittadina...
Già!
Il punto è che io, sinceramente, non me lo ricordo proprio. Daniel me l’ha detto almeno una trentina di volte, ma io, puntualmente, tornavo a chiederglielo e a richiederglielo e a richiederlo... Ciò che ricordo meglio è che lui ci stava bene, gli piaceva la gente, le piazze, i vicoli... Nonostante gli fossero capitate molte buone occasioni per andarsene in capo al mondo a fare ciò che avrebbe ritenuto meglio, non si è mai mosso da... Eh! Proprio non ricordo.
Per chi non lo conosceva bene, Daniel Lo Cuba era una specie di fannullone scansafatiche e perdigiorno come pochi ce ne sono al mondo. “Va in giro tutto il giorno, scrive qualche riga su un quaderno, sta seduto per ore senza far nulla... Comoda la vita così!” Questo dicevano di lui le persone che non lo conoscevano. E queste erano le frasi più gentili.
Mi dirai: sicuro che gli piacesse la gente della sua città?
Ne sono più che sicuro, perché al di là di tutto lui apprezzava la loro sincerità, la schiettezza delle loro opinioni. Per questo non si arrabbiava mai; di fatto nessuna delle persone che non lo conoscevano bene gli ha mai fatto del male.
Comunque i suoi concittadini avevano ragione, era lo stesso Daniel a sostenerlo: lui era un fannullone scansafatiche e perdigiorno, un lavoro serio e sicuro non l’avrebbe mai intrapreso. A lui piaceva vivere così.
Lo so a cosa stai pensando, la tua domanda è lecita: di cosa viveva? Come faceva a mantenersi? Sinceramente non l’ha mai voluto dire neanche a me che l’ho frequentato per quasi tutta la vita e posso dire di conoscerlo molto bene. Ogni volta che cercavo di affrontare l’argomento lui rispondeva: “Non sono affari tuoi!”. Non era nemmeno possibile capire quali fossero le sue disponibilità, se era ricco, se era povero... Vestiva in modo semplice, guidava - raramente - una vecchia utilitaria, viveva in una casa ben tenuta, non era denutrito, non era troppo grasso: “Ho quel che mi serve” ripeteva ai curiosi sospettosi e forse invidiosi della sua situazione di vita. Altrimenti perché fare domande del genere?
“Il senso della mia vita è esserci” questa era la filosofia di Daniel Lo Cuba “Di più a che serve?”
“Ci sarà pur qualcosa” gli obiettavo io “che ti piacerebbe fare e che ti darebbe maggior soddisfazione!”
“...No”
Disarmante.
“Ma... quello che scrivi sul tuo quaderno” gli chiedevo ogni tanto “perché non lo pubblichi?”
“Perché non credo che interessi alla gente” rispondeva lui “Anche se...”
“Anche se...?” ripetevo io, sperando sempre che fosse la volta buona.
“...in verità è a me che non interessa far leggere i miei scritti” concludeva lui. Ed ogni parola in più diventava inutile.
Daniel Lo Cuba era una persona da prendere così com’era, senza mezzi termini: o lo si amava o lo si disprezzava. Una cosa era certa: chi non lo conosceva bene ne poteva dire di tutti i colori ed avere anche ragione; ma non avrebbe mai potuto fare a meno della sua presenza in città, perché, se per Daniel Lo Cuba il senso della vita era esserci, per i suoi concittadini esprimere la loro opinione avversa su di lui era il solo modo per sostenere che era la loro vita ad avere un senso, non quella di uno pseudo-scrittore sfaccendato che mai avrebbe fatto leggere il contenuto del suo prezioso quaderno a chicchessia.
E di questo Daniel Lo Cuba, uomo tutt’altro che intelligente per chi non lo conosceva bene, godeva grandemente.

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