giovedì 21 giugno 2012

Il ragnetto canterino e burlone


Ah… che bella l’estate quando si può stare all’aria aperta, seduti all’ombra delle piante fiorite o piene di frutti, senza troppo caldo e magari con un po’ di venticello… Io ho passato così la mia estate qui in collina, lontano dalla grande città, piena di macchine, di rumore, di smog, di gente che corre dalla mattina alla sera, che va a fare lo ‘sciopping’, che pensa a cosa deve fare dopo mentre sta parlando con l’amica, il cliente, il sacrestano o la suocera. Che mania sarà mai quella di essere sempre proiettati a domani? Non è ancora cominciato oggi e già pensi a domani?
Comunque, dicevo, è così che ho passato la mia estate: ogni mattina, dopo aver fatto colazione, e ogni pomeriggio, dopo una bella dormitina, mi mettevo sotto una delle piante del giardino e stavo là per alcune ore a leggere o a scrivere, o anche solo a guardarmi intorno – ho lavorato talmente tanto durante tutto l’anno che l’unico pensiero che avevo in testa era quello di riposare, riposare e riposare.
Una mattina mi sono messo sotto l’albero delle albicocche con tutta l’intenzione di leggere un romanzo di cui mi avevano parlato molto bene alcuni amici di famiglia. In effetti quel libro era davvero appassionante, più lo leggevo e più avevo voglia di leggerlo, preso dal desiderio di sapere come sarebbe andato a finire. Ero talmente preso dalla lettura che non mi rendevo conto del tempo che passava e più che essere all’ombra di rami carichi di albicocche, mi sembrava di essere nei luoghi dove agivano i personaggi della storia che stavo leggendo.
Erano ormai passate almeno due ore da quando avevo iniziato a leggere, quando ad un certo punto sentii un suono finissimo, acutissimo come un tintinnio leggero che si ripeteva in varie sequenze, tutte diverse l’una dall’altra. Mi sono detto: ‘Sarà certo qualcuno che non riesce a fare a meno di giocherellare con il telefonino: neanche in vacanza si può star tranquilli!’. E poi mi sono rimesso a leggere.
Passarono solo pochi minuti e sentii di nuovo quel suono tanto fine, quanto fastidioso. Alzai la testa dal libro per guardare intorno e trovare chi stava usando il cellulare in quel luogo di grande quiete; ma appena alzai lo sguardo, vidi davanti a me un piccolo filo argentato che scendeva dai rami e andava a finire proprio sul bordo dei miei occhiali. E lì, nel punto esatto in cui finiva quel filo brillante alla luce del sole, mi accorsi che c’era un piccolo ragno rosso, piccolo come ne avevo visti pochi, talmente piccolo che per vederlo bene mi si incrociavano gli occhi.
Che stesse cantando quel ragnetto tutto indaffarato? …dei suoni così fini potrebbero essere il canto di qualcuno o qualcosa di molto piccolo… Mah!
Dopo averlo osservato ancora per qualche istante mentre muoveva svelto le sue zampettine a lavorare il filo che scendeva dall’alto, gli dissi:
“Ehi tu, ti sembra il posto giusto per costruire la tua ragnatela?”
Il ragnetto, con molta calma e senza assolutamente spaventarsi, si girò verso di me e disse: “Be’, è un posto come un altro, tanto più che mi sembra che qui la mia ragnatela attacchi proprio bene!”
Non ci potevo credere: non solo non si era spaventato, ma aveva risposto convinto di aver ragione!
E di nuovo quei suoni! Che stesse cantando davvero?
“Secondo te, allora” gli dissi osservandolo ancora con gli occhi incrociati “io dovrei restarmene qui immobile per tutto il tempo che ti fa comodo? Non sono mica un ramo di questo albero, io!”
“Sei rimasto fermo come un sasso per un sacco di tempo” ribatté il piccolo ragno “perché dovresti muoverti proprio adesso?”
“Be’, perché tra un po’ è ora di pranzo e dovrò rientrare in casa per prepararmelo” gli dissi un po’ risentito.
Il ragnetto si fermò stupito e poi mi disse: “Io sono più fortunato, è il cibo che viene da me” E senza aggiungere altro, ma facendo ancora quei suonettini piccoli piccoli, si diresse con un altro pezzo di filo verso il mio naso e lo incollò per bene.
Eh sì, stava proprio cantando! E con quale spensieratezza!
“Oh, senti” gli dissi innervosito “adesso mi fai il piacere di toglierti dal mio naso e di andare a fissare la tua ragnatela da un’altra parte! Altrimenti…”
“Ma questo promontorio è ancora più adatto per fissare la mia ragnatela!” esclamò il ragnetto tutto eccitato “quasi quasi lo fisso anche dall’altro lato…!”
“Vuoi fare la fine delle tue prede?” gli chiesi con tono minaccioso.
“E come faresti? Anche tu costruisci ragnatele?” mi chiese curioso il rosso insetto.
“No, ma le mie dita potrebbero appiattirti per bene!” gli dissi io sempre più irritato da quel tono strafottente.
“Oh be’, poco male” ribatté il ragno senza smettere di lavorare “ci sarà qualche altro collega che verrà a costruire la sua trappola da queste parti… titiriti ti ti…”
‘Eh no, adesso sta esagerando!’ pensai tra me. Alzai un braccio, afferrai il filo rilucente che pendeva dall’alto, lo staccai dai miei occhiali e dal mio naso e poi lo incollai ad un rametto cresciuto verso il basso.
“Oh… ba ba ba ba…” ironizzò il ragnetto “E’ così che metti in atto le tue minacce?”
Be’, non sono un ragnicida, io!” dissi con tono fra il risentito e il divertito.
Figurati se avevo voglia, io, di diventare una polpetta fra le tue dita!” canticchiò il ragno ridacchiando. Come potevo non ridere anch’io?
“Allora, adesso che mi sono liberato di te posso andare a prepararmi il pranzo” dissi benevolmente al mio nuovo piccolo (piccolissimo!) amico tessitore.
“Benissimo!” esclamò lui “Così finalmente ci sarà il silenzio adatto perché la mia rete peschi qualcosa e anch’io possa sfamarmi!”
“Ah, sei un ragno pescatore allora?” gli chiesi ironico.
“Certo!” rispose l’amichetto “Soprattutto se devo far abboccare un pesce lesso come te!”
“Pesce lesso a chi?” feci io.
“Guarda un po’ cosa c’è fra le dita della tua mano e capirai!” disse il ragno sicuro di sé mormorando ancora qualche nota.
Alzai una mano… non c’era niente; alzai l’altra… non c’era niente!
Ecco! Vedi che hai abboccato?” disse il piccoletto facendo il gesto di riavvolgere il filo di una canna da pesca “Se non fossi un pesce lesso non ci saresti cascato!”
E alzando una zampettina verso di me in segno di saluto, riprese a canticchiare quel motivetto che ormai mi era entrato in testa e che, volente o nolente, diventò il tormentone della mia estate in collina.

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