Ah… che
bella l’estate quando si può stare all’aria aperta, seduti
all’ombra delle piante fiorite o piene di frutti, senza troppo
caldo e magari con un po’ di venticello… Io ho passato così la
mia estate qui in collina, lontano dalla grande città, piena di
macchine, di rumore, di smog, di gente che corre dalla mattina alla
sera, che va a fare lo ‘sciopping’, che pensa a cosa deve fare
dopo mentre sta parlando con l’amica, il cliente, il sacrestano o
la suocera. Che mania sarà mai quella di essere sempre proiettati a
domani? Non è ancora cominciato oggi e già pensi a domani?
Comunque,
dicevo, è così che ho passato la mia estate: ogni mattina, dopo
aver fatto colazione, e ogni pomeriggio, dopo una bella dormitina, mi
mettevo sotto una delle piante del giardino e stavo là per alcune
ore a leggere o a scrivere, o anche solo a guardarmi intorno – ho
lavorato talmente tanto durante tutto l’anno che l’unico pensiero
che avevo in testa era quello di riposare, riposare e riposare.
Una mattina
mi sono messo sotto l’albero delle albicocche con tutta
l’intenzione di leggere un romanzo di cui mi avevano parlato molto
bene alcuni amici di famiglia. In effetti quel libro era davvero
appassionante, più lo leggevo e più avevo voglia di leggerlo, preso
dal desiderio di sapere come sarebbe andato a finire. Ero talmente
preso dalla lettura che non mi rendevo conto del tempo che passava e
più che essere all’ombra di rami carichi di albicocche, mi
sembrava di essere nei luoghi dove agivano i personaggi della storia
che stavo leggendo.
Erano ormai
passate almeno due ore da quando avevo iniziato a leggere, quando ad
un certo punto sentii un suono finissimo, acutissimo come un
tintinnio leggero che si ripeteva in varie sequenze, tutte diverse
l’una dall’altra. Mi sono detto: ‘Sarà certo qualcuno che non
riesce a fare a meno di giocherellare con il telefonino: neanche in
vacanza si può star tranquilli!’. E poi mi sono rimesso a leggere.
Passarono
solo pochi minuti e sentii di nuovo quel suono tanto fine, quanto
fastidioso. Alzai la testa dal libro per guardare intorno e trovare
chi stava usando il cellulare in quel luogo di grande quiete; ma
appena alzai lo sguardo, vidi davanti a me un piccolo filo argentato
che scendeva dai rami e andava a finire proprio sul bordo dei miei
occhiali. E lì, nel punto esatto in cui finiva quel filo brillante
alla luce del sole, mi accorsi che c’era un piccolo ragno rosso,
piccolo come ne avevo visti pochi, talmente piccolo che per vederlo
bene mi si incrociavano gli occhi.
Che stesse
cantando quel ragnetto tutto indaffarato? …dei suoni così fini
potrebbero essere il canto di qualcuno o qualcosa di molto piccolo…
Mah!
Dopo averlo
osservato ancora per qualche istante mentre muoveva svelto le sue
zampettine a lavorare il filo che scendeva dall’alto, gli dissi:
“Ehi tu, ti
sembra il posto giusto per costruire la tua ragnatela?”
Il ragnetto,
con molta calma e senza assolutamente spaventarsi, si girò verso di
me e disse: “Be’, è un posto come un altro, tanto più che mi
sembra che qui la mia ragnatela attacchi proprio bene!”
Non ci potevo
credere: non solo non si era spaventato, ma aveva risposto convinto
di aver ragione!
E di nuovo
quei suoni! Che stesse cantando davvero?
“Secondo
te, allora” gli dissi osservandolo ancora con gli occhi incrociati
“io dovrei restarmene qui immobile per tutto il tempo che ti fa
comodo? Non sono mica un ramo di questo albero, io!”
“Sei
rimasto fermo come un sasso per un sacco di tempo” ribatté il
piccolo ragno “perché dovresti muoverti proprio adesso?”
“Be’,
perché tra un po’ è ora di pranzo e dovrò rientrare in casa per
prepararmelo” gli dissi un po’ risentito.
Il ragnetto
si fermò stupito e poi mi disse: “Io sono più fortunato, è il
cibo che viene da me” E senza aggiungere altro, ma facendo ancora
quei suonettini piccoli piccoli, si diresse con un altro pezzo di
filo verso il mio naso e lo incollò per bene.
Eh sì, stava
proprio cantando! E con quale spensieratezza!
“Oh, senti”
gli dissi innervosito “adesso mi fai il piacere di toglierti dal
mio naso e di andare a fissare la tua ragnatela da un’altra parte!
Altrimenti…”
“Ma questo
promontorio è ancora più adatto per fissare la mia ragnatela!”
esclamò il ragnetto tutto eccitato “quasi quasi lo fisso anche
dall’altro lato…!”
“Vuoi fare
la fine delle tue prede?” gli chiesi con tono minaccioso.
“E come
faresti? Anche tu costruisci ragnatele?” mi chiese curioso il rosso
insetto.
“No, ma le
mie dita potrebbero appiattirti per bene!” gli dissi io sempre più
irritato da quel tono strafottente.
“Oh be’,
poco male” ribatté il ragno senza smettere di lavorare “ci sarà
qualche altro collega che verrà a costruire la sua trappola da
queste parti… titiriti ti ti…”
‘Eh no,
adesso sta esagerando!’ pensai tra me. Alzai un braccio, afferrai
il filo rilucente che pendeva dall’alto, lo staccai dai miei
occhiali e dal mio naso e poi lo incollai ad un rametto cresciuto
verso il basso.
“Oh… ba
ba ba ba…” ironizzò il ragnetto “E’ così che metti in atto
le tue minacce?”
“Be’,
non sono un ragnicida, io!”
dissi con tono fra il risentito e il divertito.
“Figurati
se avevo voglia, io,
di diventare una polpetta fra le tue dita!” canticchiò il ragno
ridacchiando. Come potevo non ridere anch’io?
“Allora,
adesso che mi sono liberato di te posso andare a prepararmi il
pranzo” dissi benevolmente al mio nuovo piccolo (piccolissimo!)
amico tessitore.
“Benissimo!”
esclamò lui “Così finalmente ci sarà il silenzio adatto perché
la mia rete peschi qualcosa e anch’io possa sfamarmi!”
“Ah, sei un
ragno pescatore allora?” gli chiesi ironico.
“Certo!”
rispose l’amichetto “Soprattutto se devo far abboccare un pesce
lesso come te!”
“Pesce
lesso a chi?” feci io.
“Guarda un
po’ cosa c’è fra le dita della tua mano e capirai!” disse il
ragno sicuro di sé mormorando ancora qualche nota.
Alzai una
mano… non c’era niente; alzai l’altra… non c’era niente!
“Ecco!
Vedi che hai abboccato?” disse il piccoletto facendo il gesto di
riavvolgere il filo di una canna da pesca “Se non fossi un pesce
lesso non ci saresti cascato!”
E alzando una
zampettina verso di me in segno di saluto, riprese a canticchiare
quel motivetto che ormai mi era entrato in testa e che, volente o
nolente, diventò il tormentone della mia estate in collina.
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