domenica 10 giugno 2012

Padrone della strada

Ormai Arcondio sapeva di essere il padrone della strada: aveva tra le mani un mezzo che valeva la pena possedere solo a patto di sfruttarne al massimo tutte le potenzialità. E lui ne aveva tutte le intenzioni.
La struttura del suo nuovo bolide era solida, perché il telaio era fatto con tubi d’acciaio, le ruote erano larghe, con un battistrada molto spesso, un motore con un’accelerazione invidiabile, un sistema di guida a joystick tanto evoluto da dare alle sterzate grande precisione e nello stesso tempo estrema agilità: tutti elementi che rendevano quel mezzo assolutamente sicuro, non c’era pericolo. Ci si poteva permettere, senza problemi, di guardarsi intorno per godersi i paesaggi e il panorama: il controllo era assoluto.
Ah... Finalmente avrebbe potuto viaggiare molto di più, vedere nuovi luoghi, conoscere altra gente: che gli importava ormai di girovagare solo per le strade della sua striminzita provincia, della sua regione e anche della sua bella e declamata nazione? Ora poteva andare e tornare in un giorno macinando centinaia, se non migliaia di chilometri; glielo permetteva, oltre alla grande sicurezza, un’autonomia di carburante strepitosa: il serbatoio era così capiente e i consumi talmente ponderati e contenuti che poteva permettersi di fare un viaggio di migliaia di chilometri senza doversi mai fermare a far rifornimento.
Arcondio, dal giorno stesso in cui si era regalato quella bellezza di tecnologia, cominciò a girare in lungo e in largo ogni nuovo paese che gli veniva in mente di visitare ed ogni volta un fascino nuovo lo assaliva: quanti posti avrebbe conosciuto, quante tradizioni lo avrebbero conquistato, quanta conoscenza, quante cose avrebbe potuto raccontare ad amici, conoscenti, compaesani... e poi... quante donne avrebbe fatto sue con quel bolide fra le mani!
Ritornare a casa ogni sera... oh... era una tale sofferenza! Non vedeva l’ora che venisse il mattino dopo. Appena sveglio prendeva la carta geografica mondiale e la scrutava per brevi attimi intensi e frenetici, con gli occhi assetati di chilometri... Appena adocchiava una qualsiasi strada che ancora non avesse percorso e una meta che valesse davvero la pena raggiungere, prendeva con sé quanto bastava per quel giorno - vestiti ce li ho, caffé l’ho bevuto, portafogli qui in tasca e... cosa manca? Ah! innaffiare l’ortensia che sennò schiatta - e via! si lanciava verso la più bella avventura che mai avesse vissuto: avrebbe fatto strada! Sì, soprattutto... strada!
Ma in fondo ci era costretto! Perché il suo bolide, unico nella sua specie, più faceva strada, meno consumava! Se avesse deciso di fare i soliti viaggetti che si era ridotto a fare prima di accaparrarsi quel gioiello a quattro ruote, avrebbe finito il carburante in men che non si dica! Quello era un mezzo poco adatto a fare tappe o brevi tratti, no! Quello era un mangiastrada, i chilometri, l’asfalto erano il suo pane quotidiano.
Ah, quali sensazioni di pienezza, di orgoglio, di libertà e di... oh... cose difficili da esprimere, tanto sono profonde. Ah, che viaggi! Ah, che posti! Ah, il vento tra i capelli! Ah, lo stupore e la meraviglia di chi ti osserva passare! Ehilà! Salv... sbadatabam!!
...O...ddio, le stelle! Oddio, i pianeti! Oddio, le lune!... Oh, l’asfalto! Oh, che duro!
Ma dico io! A chi è mai venuta in mente la brillante idea di mettere una deviazione per lavori in corso proprio sulla strada che stava percorrendo beatamente il mio amico Arcondio, eh?

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