domenica 24 giugno 2012

Una storia da non credere

Non so se qualcuno mi crederà mai, ma quella che sto per raccontare è una storia vera; io stesso pensavo di sognare, ma non c’è niente di inventato, vi giuro che ne sono stato testimone in prima persona.
Non avevo ancora quindici anni, mi trovavo nella savana alla ricerca di qualche spunto per scrivere il mio ventesimo libro: dopo diciannove romanzi di carattere urbano-avventuroso, ispirati alla vita notturna degli abitanti del quartiere Kodingo nella città di Quatambe situata nella profonda foresta dell’altopiano Kaarindi, sentivo il bisogno di cambiare luogo, soggetto e protagonisti.
Dopo molti giorni di viaggio a bordo dei mezzi più disparati e altrettante notti a dormire nei posti meno indicati, decisi che era tempo di fare una sosta per riorganizzare tutte le osservazioni fatte durante i miei spostamenti, in modo da cominciare a scrivere qualcosa di più lineare e discorsivo. Così mi rifugiai in una spelonca di cui mi aveva parlato il mio amico Guandri; era un posto veramente fuori mano, tranquillo abbastanza da potermi concentrare senza distrazioni sul lungo lavoro che mi aspettava. La mattina seguente, di buon ora (da quelle parti il sole sorgeva davvero molto presto), dopo aver fatto colazione con qualche frutto che mi ero portato nell’ultimo giorno di viaggio, mi sistemai su un ramo molto comodo, con tante foglie verdi, senza gobbette o spuntoni di qualsiasi genere; non era molto in alto e lo raggiunsi con un semplice balzo, per me che ero ancora giovane fu un gioco da ragazzi. Poi verso sera ridiscesi per sgranchirmi gambe e schiena e per dormire nel piccolo rifugio che avevo sistemato il giorno prima nell’incavo del tronco di quell’albero. Questo fu lo schema con cui trascorsi quei primi giorni da scrittore in ritiro in quel luogo speciale, tranne per la sera in cui mi addormentai sul mio ramo, trasformando in sogno ciò che stavo rielaborando per il mio libro.
Fu quella notte, verso l’alba, che fui svegliato da qualcosa di insolito. Sentii in lontananza dei tamburi che battevano un ritmo molto allegro, ma che ispirava quiete e tranquillità. Non aspettai un solo momento: se lì vicino, da qualche parte stava succedendo qualcosa che poteva darmi ulteriori idee per sviluppare la mia nuova storia, dovevo approfittarne. Così, dopo aver ingoiato in fretta qualcosa da mangiare, mi lanciai di corsa nella direzione da dove sentivo provenire quel tambureggiare strano. Corsi attraverso un boschetto non molto folto, poi in un tratto di savana con dei ciuffi d’erba rinsecchita, una collinetta tonda e bassa con sopra un piccolo laghetto, dove si stavano rinfrescando alcuni animali, finché giunsi in un luogo protetto da grandi alberi. Cercai un punto da dove potessi vedere bene cosa vi stava succedendo senza essere visto o disturbare l’evento.
Appena mi affacciai al di là di uno dei grandi alberi, non potei fare a meno di spalancare bocca e occhi come non avevo mai fatto nella mia vita, tale era la sorpresa per ciò che mi si parò di fronte: c’era da un lato un numeroso gruppo di scimpanzé e di gorilla che, con dei bastoni ben lavorati, picchiavano con grande maestria su tronchi di varia dimensione; dall’altra parte un altro folto gruppo di scimmie di vario genere che emettevano dei suoni più o meno gutturali in piena sintonia con la musica degli insoliti percussionisti; e in mezzo a loro c’erano almeno venti elefanti, tutti alzati sulle loro grosse zampe posteriori, con un gonnellino fatto di lunghe foglie gialle alternate a dei ramoscelli pieni di foglioline d’un verde scintillante, le grandi orecchie triangolari adornate con delle ghirlande di fiori di tutti i colori, e insieme ballavano con una grazia e una leggerezza che poche volte mi era capitato di vedere.
Il ballo durò ancora qualche minuto; poi, quando musica e danze si fermarono, regnò un silenzio pieno di pace, tutti rimasero fermi come fossero delle statue di legno, tenendo l’ultima posizione di danza.
Alla vista di quello spettacolo, non riuscii a trattenermi: dopo alcuni istanti col fiato sospeso per l’ammirazione iniziai a battere le mani più forte che potei per applaudire quei grandi artisti e ad urlare a squarciagola ‘bravi, bravissimi!!’. Tutti puntarono i loro sguardi stupiti verso di me e poi venni invitato a raggiungere il centro del cerchio. E mentre mi avvicinavo dissi che era stato fantastico, che finalmente avevo trovato un’idea grandiosa per il mio libro, che sarebbe diventato famoso in tutto il mondo e anche loro sarebbero diventati famosi e la loro musica e la loro danza avrebbe spopolato, tutti, tutti, tutti li avrebbero applauditi per quello spettacolo... Improvvisamente mi ritrovai con la bocca chiusa a forza dalla proboscide di uno degli elefanti ballerini che poi mi sollevò da terra con molta delicatezza: deglutii dallo spavento! Vedendo però che la bocca di quest’ultimo tirava al sorriso e che i suoi occhi esprimevano una dolcezza infinita, mi rilassai un po’ e cercai di sorridere anch’io. L’elefante mi rimise a terra, lasciò la presa e poi mi disse con voce molto calda e profonda:
“E’ la prima volta che abbiamo uno spettatore alle nostre... esibizioni”
Stavo per dire che ce ne sarebbero stati degli altri, tantissimi, di tutti i tipi, da ogni dove, ma l’elefante di nuovo mi tappò la bocca e disse:
“E dovrà essere anche l’ultima!”
Nonostante la voce fosse molto suadente e calma sentii un brivido di terrore che percorse tutto il mio corpo, dalle punte dei capelli alle dita dei piedi. Deglutii!
“Ed ora che ci siamo chiariti” disse sempre con voce calma il mio interlocutore “passiamo alle presentazioni. Io sono Sabenda, la matriarca del folto gruppo di animali qui riunito”
Era un’elefantessa! Di nuovo non potei fare a meno di spalancare bocca e occhi meravigliato.
“Piacere” dissi “io sono Papuri”
“E che ci fa un ragazzo così giovane in questa zona sperduta?” chiese Sabenda.
“Sono uno scrittore” risposi “e volevo trovare nuova ambientazione e nuovi personaggi per il mio nuovo libro”
“E quindi” mi disse Sabenda con sguardo fra il rimprovero e la presa in giro “vorresti inserire nella tua storia quello che hai visto questa notte”
Sorrisi timidamente con sguardo implorante.
“Mh!” fece lei. E poi continuò: “Potrebbe essere un’idea... ma mai, ripeto mai dovrai scrivere dove e quando questo sia successo, ne va della sacralità di questo nostro incontro e della nostra pace che con molta fatica ci siamo costruiti”
“D’accordo!” dissi entusiasta “A pensarci bene, voi credereste mai al racconto di un ragazzo che non sa far altro che parlare, parlare e parlare e scrivere storie avventurose un po’ complicate?”
Tutti si misero a ridere.
“Allora” disse Sabenda “in onore del nostro privilegiato e unico spettatore, ripeteremo la nostra danza dall’inizio”
E così ricominciò la musica, i canti e le danze.
Io mi appoggiai all’albero da cui avevo visto per la prima volta quello spettacolo e mi godetti la visione.
Dopo che tutto finì, non so come, né perché, mi ritrovai a svegliarmi sul ramo dove stavo scrivendo la mia storia, una storia che mi auguravo fosse insolita e piena di meraviglia. Mi sentivo indolenzito. Avevo sognato? No, non avevo dubbi al riguardo, ciò a cui avevo assistito era reale. E voi dovete stare certi che quanto vi ho raccontato non è una storia inventata, ma la pura e semplice verità.

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