Dunque,
vediamo... Eugenio Lapillola veniva preso in giro da amici e
conoscenti dall’età... ah già! Che sciocco sono!
Eugenio
Lapillola veniva preso in giro da amici e conoscenti sin dall’età
dell’infanzia, da quando era nato tutti lo chiamavano Pasticca.
Tutto
cominciò il giorno in cui venne al mondo. Era talmente piccolo e
gracile che l’ostetrica di turno, presa dalla commozione e dalla
tenerezza, non riuscì a trattenersi e con le lacrime agli occhi
disse: “Sembra una pasticca!”
Visto
il silenzio di tomba che si era creato fra i presenti e gli occhi
sconcertati della partoriente, l’ostetrica con un sorriso
imbarazzato si corresse: “Sembra... un pasticcino, ecco... eh eh...
è questo che volevo dire”
Ma
ormai il pasticcio... ehm, no... scusate... la frittata era fatta. In
poche ore tutto il paese aveva saputo dell’accaduto; e tanto in
fretta i compaesani avevano saputo, che riuscirono ad organizzarsi
per far trovare sopra il portone della casa del neonato uno
striscione di benvenuto, scritto con caratteri ben disegnati e
decorato con ghirlande di fiori di carta.
Cosa
c’era scritto?
Ma
sì... una semplice frase di benvenuto...
Devo
dirlo? Devo proprio?
Va
be’; io, come disse il romano, me ne lavo le mani. Sullo striscione
c’era scritto così: “Benvenuto Pasticca! Che tu sia sempre pieno
di salute!”
Potete
immaginare lo sconcerto di mamma e papà Lapillola nel giorno di
ritorno a casa quando videro... quella specie di augurio
strafottente! A quanto pare anche il piccolo Eugenio ne risentì,
perché improvvisamente scoppiò in un pianto disperato che nemmeno
le tre poppate successive riuscirono a contenere.
Gli
anni passarono, Pastic... no no no... volevo dire Eugenio cresceva
bello sano e forte. Una forza che in parte gli veniva dalla
sofferenza dell’essere additato, ma aveva imparato a farsi valere
con chi decideva di affrontarlo a viso aperto.
A
dispetto della sicurezza orgogliosamente esternata, quel soprannome
sussurrato ogni santo giorno ad ogni angolo del paese gli pesava
sempre di più.
Compiuta
la maggiore età decise di andarsene all’estero, dove nessuno lo
conosceva e dove avrebbe potuto costruirsi una nuova vita in santa
pace, benché lontano da mamma e papà che amava tanto.
Passarono
altri anni, nessuno in paese sembrava ricordarsi ormai di Pasticca; o
meglio: qualcuno si chiedeva ogni tanto se altri ne avessero avuto
notizie, ma non ricevendo risposte certe, tanto meno dai suoi
familiari, tornava ad interessarsi delle proprie cose come aveva
fatto poco prima.
Un
giorno arrivò il circo; il tendone venne innalzato proprio accanto
al campo sportivo comunale. I manifesti di cui vennero tappezzati i
muri di case e palazzi annunciavano festa grande e divertimento
garantito. I bambini erano follemente eccitati dalla possibilità di
vedere lo spettacolo, perché un circo da quelle parti non era mai
arrivato. Oltretutto era il Grande Circo di Francia e questo sembrava
incuriosire ancora di più tutti quanti.
Il
giorno del primo spettacolo tutti i posti sotto il tendone erano
occupati e tutti gli spettatori aspettavano con impazienza l’entrata
degli artisti per applaudire le loro mirabolanti esibizioni. Così si
susseguirono giocolieri, trapezisti, animali, domatori... fino al
momento più atteso dai bambini, il momento dei clowns.
“Ed
ora, mesdames e messieurs” annunciò il direttore con il tipico
accento francese “sono veramente felice di presentarvi la stella
del nostro circo; bambini e bambine, preparatevi a ridere a
crepapelle, perché è venuto il momento di far entrare il grande
Paaaaastiiiiiiche!!!”
E
con una musica allegra e spumeggiante arrivò di gran corsa il clown
Pastiche, su un triciclo gigante, pieno di colori sfavillanti. Iniziò
a girare attorno alla pista, salutando con gran foga tutti i bambini
posti in prima fila e dopo i primi giri cominciarono pantomime e
ruzzoloni che fecero divertire il piccolo e grande pubblico in
maniera superba.
Dopo
alcuni minuti di risate rimbombanti e grida di gioia, Pastiche simulò
uno starnuto: “Eeeeh... eeeeeeehh... eeeeetchù!!”
E
tutti gli spettatori risposero in coro: “Salute!”
Allora
Pastiche cominciò a parlare: “Eh già” disse con accento
francese “voi ridete, ma qui rischio di prendermi un bel rafredore”
E con un fazzoletto che sembrava un asciugamano si soffiò il naso
rumorosamente e tutti quanti risero di nuovo a gran voce.
“Ah,
vi divertite alle mie spale,
eh?” disse il clown dopo un altro starnuto.
“Ti
ci vorrebbe una pasticca!” urlò un bambino dopo un altro attacco
di risa generale. E subito... si fece un silenzio di tomba.
“Oh,
se è per questo, picolo
mio...” disse calmo Pastiche dopo essersi avvicinato “io sono...
una pastica
vivente!!!” gridò improvvisamente. E togliendo dalla tasca una
grande scatola di caramelle cominciò a distribuirle a piene mani a
tutti i bambini presenti, mentre la musica con cui era entrato in
pista riprese allegra e spumeggiante. Poi, dopo un ultimo lancio di
caramelle, il clown Pastiche, al secolo Eugenio Lapillola
ribattezzato Pasticca, prese il suo grande triciclo colorato e uscì
di scena fra gli applausi scroscianti di grandi e piccini.
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