Il cortile era
pienissimo di gente, c’erano persone più o meno giovani, uomini e
donne, musicisti, cantanti o semplici appassionati. Tutti attendevano
di essere chiamati per sostenere l’audizione superata la quale era
possibile frequentare i corsi di quella che fu chiamata ‘La scuola
della musica dal vivo’.
Era circa un anno che
tutti i mezzi di comunicazione pubblicizzavano questa novità. Radio,
giornali, televisioni e affissioni lanciavano slogan di ogni tipo,
che venivano rinnovati di settimana in settimana: era necessario
tener vivo l’interesse per una proposta che sembrava rivoluzionare
il mondo della musica.
“Non vedo l’ora
di far sentire le mie canzoni” diceva qualcuno.
“Chissà come ci si
divertirà!” ipotizzava qualcun altro.
“Buongiorno e
benvenuti a tutti!” si sentì improvvisamente dagli altoparlanti
“Sono Giona Cabis, uno dei fondatori e preside della ‘Scuola
della musica dal vivo’. Prima di dare inizio alle audizioni, tenevo
a dire a tutti quanti... che non dovete farvi troppe illusioni... di
realizzare i vostri sogni, nel caso sarete ammessi ai corsi. Ho
sentito qualcuno che diceva di voler diventare un grande compositore,
altri che sognano di migliorare il proprio canto, altri ancora che
vogliono affinare la propria tecnica... Be’, non è questo
l’approccio giusto per divenire allievi di questa scuola”
Il preside sembrava
non volesse continuare il suo discorso e dopo un lungo momento di
silenzio - a parte il brusio generale a commento di quanto sentito -
qualcuno domandò:
“Allora? Qual è il
giusto approccio?”
“Oh, finalmente!”
disse Giona Cabis al microfono “Pensavo che ormai nessuno si
sarebbe azzardato a chiederlo, ero già pronto a chiudere i battenti
ancor prima di iniziare. Intanto toglietevi dalla testa qualsiasi
aspettativa, e poi quelli che saranno ammessi scopriranno qual è la
giusta predisposizione. Ed ora si dia inizio alle audizioni, i
risultati saranno resi noti domani mattina”
Il brusio riprese
corposo, le persone esprimevano dubbi, domande su come mettere da
parte le proprie aspettative, qualcuno se ne andò deluso, altri
sentirono crescere la propria curiosità.
Ci vollero parecchie
ore perché tutti gli aspiranti allievi fossero ascoltati; man mano
che il tempo passava il cortile si svuotava, anche se molti erano
rimasti tutto il tempo, alcuni ad aspettare gli amici con cui erano
venuti, altri per chiacchierare con l’amico appena conosciuto,
altri ancora che speravano di scoprire di lì a poco quale fosse
l’arcano di quella scuola. Si formarono qua e là anche dei
piccoli assembramenti, a creare mini-concerti nati attorno a chi
aveva iniziato a suonare qualcosa, a cantare una melodia, o si era
avvicinato solo per ascoltare e poi si era trovato a scandire il
tempo schioccando le dita. Non pochi si fermarono tutta la notte.
Il mattino seguente,
alle nove in punto, vennero esposti i risultati delle audizioni. I
primi che cercarono il proprio nome fra quelli elencati, furono
naturalmente quelli che dormirono in quel grande cortile. Furono
anche i primi a meravigliarsi del fatto che erano stati ammessi tutti
quanti! Com’era possibile? Che senso avevano avuto le audizioni? E
come si sarebbero svolte le lezioni con un numero così elevato di
allievi? Le reazioni degli aspiranti furono molto variegate: ci fu
chi si sentì preso in giro, chi sentì solleticare ancor di più la
propria curiosità, chi esigeva delle spiegazioni, chi pensava di
cominciare a capire come funzionavano le cose alla scuola della
musica dal vivo.
Finalmente, verso le
undici e trenta, uscirono il preside e tutti coloro che con tutta
probabilità - chi poteva saperlo con certezza? - sarebbero stati i
docenti.
Il signor Cabis prese
il microfono e disse:
“Buongiorno”
Nessuno rispose, non
c’era brusio. Ma il silenzio in quel cortile era molto eloquente.
“Prima lezione”
disse Cabis “aspettarsi di tutto”
Il silenzio
persisteva.
“Seconda
lezione...” continuò il preside.
“Non aspettarsi
niente?” chiese qualcuno a voce alta.
Un lieve brusio prese
il posto del silenzio.
“Esatto!” fece
Cabis “Qualcuno comincia a capire”
“E chi non
capisce?” chiese un’altra voce.
“Chi non
capisce...” disse il preside alzando le spalle “può scegliere di
restare e cercare di capire oppure se ne può andare continuando a
non capire”
Il brusio di fece più
intenso. Molti degli ammessi se ne andarono.
Cabis lasciò che gli
allievi si confrontassero fra loro e dopo qualche minuto chiese: “Ci
sono altre domande?”
Il silenzio tornò
sovrano, ma ora si sentiva che era per ascoltare. Cabis si voltò
verso i suoi colleghi e fece loro un sorriso d’intesa. Si poteva
cominciare.
“Terza lezione”
disse al microfono “Chi suona uno strumento si prepari a suonarlo
come non ha mai fatto, chi canta non pensi di farlo come un cantante,
chi vorrebbe solo ascoltare cominci a sentire il ritmo pulsante del
suo cuore”
Gli allievi
cominciarono ad appassionarsi alla cosa, glielo si poteva leggere
negli occhi, si capiva dall’attenzione con cui seguivano quelle...
prime lezioni. Nessuno aveva sentito parlare così una persona,
sentivano che sarebbe stata una grande avventura, qualsiasi cosa
questo significasse.
“Quarta lezione”
continuò Cabis “Vi ho detto che dovete aspettarvi di tutto e nello
stesso tempo non aspettarvi niente da questa scuola. Ciò che vi
dovete aspettare, comunque, è che alla fine di questo percorso, che
nessuno sa quanto durerà, ciò che avrete imparato non sarà fare
musica, ma come farvi musica”
Il preside scandì le
ultime parole molto lentamente.
Poi cominciò a
segnare il ritmo battendo un dito sul microfono e tutti i presenti si
unirono come meglio sentivano, chi con gli strumenti, chi con la
voce, chi con le mani, persino con i piedi; man mano che il brano
prendeva forma, gli allievi si resero conto di aver appena dato vita
al primo concerto della Scuola della musica dal vivo.
E questo era solo
l’inizio. Ciò che impararono in seguito nessuno lo seppe mai
spiegare chiaramente; su una cosa erano d’accordo: si sentivano
tutti più vivi che mai.
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